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Riassunto: Mastro Don Gesualdo

di Giovanni Verga
Riassunto per capitoli:

Il romanzo fu stampato a puntate, dal luglio al dicembre del 1888, sulla rivista Nuova Antologia. Apparve poi in stesura definitiva, in volume, nel 1889, dopo una meticolosa revisione d'autore, che assunse il carattere di una vera e propria riscrittura; da 16 capitoli l'opera passò a 21, raggruppati in quattro parti.
L'arco temporale coperto dal romanzo è di quasi trent'anni, cioè lo scoppio delle prime insurrezioni antiborboniche (1820) e la rivoluzione del 1848; siamo dunque agli albori di quel processo di unificazione nazionale che nei Malavoglia appariva già compiuto. L'opera illustra i meccanismi socioeconomici su cui nasce e comincia a svilupparsi la società moderna, con le sue luce e le molte ombre, attraverso un punto d'osservazione privilegiato e una figura dominante (Gesualdo).

PARTE PRIMA (7 capitoli)
L'inizio del racconto (tra 1820-1821) è assai movimentato. In casa della nobile famiglia Trao è scoppiato un incendio: tutti fuggono, ma non si riesce a rintracciare Bianca; un uomo che non vuole farsi riconoscere approfitta del trambusto per allontanarsi in tutta fretta. Si tratta di Ninì, figlio della baronessa Rubiera e amante di Bianca. Ninì rifiuta di sposare una donna che egli stesso ha disonorato e che è ormai circondata da cattiva fama. Sua madre, la baronessa Rubiera, agendo d'intesa con il canonico Lupi, propizia le nozze di Bianca con Gesualdo Motta, un muratore rapidamente arricchitosi. Sposando Gesualdo, Bianca potrà salvare l'onore della famiglia e impedire che i Trao cadano definitivamente in rovina; sposando una nobile, Gesualdo potrà entrare di diritto a far parte di quella società da cui altrimenti, malgrado le sue ricchezze, rimarrebbe escluso. Gesualdo accetta la situazione e non solleva questioni neppure sulla mancanza di dote di Bianca; gli anziani fratelli di lei, Ferdinando e Diego, sono invece scontenti di questa soluzione, come lo è la stessa Bianca; ma non vi sono alternative. Al matrimonio tra Gesualdo e Bianca i nobili non si presentano, né compaiono i familiari dello sposo (tranne il fratello Santo): anch'essi infatti non approvano questo tentativo di uscire dalla propria condizione sociale e culturale originaria.

PARTE SECONDA (5 capitoli)
Gesualdo, ora che ha sposato una nobile, può fregiarsi del titolo di don, secondo l'uso spagnolesco. Si prende la rivincita sui nobili del paese aggiudicandosi l'asta per l'affitto delle terre comunali (agosto 1821): adesso è il più ricco del paese. Vorrebbe approfittare della rivolta antiborbonica contro i nobili: secondo Verga, gli ideali rivoluzionari coprono solo gli interessi egoistici di chi li persegue. Durante un moto popolare, è Nanni l'Orbo a salvare Gesualdo, nasconderlo in casa sua, in cambio di un terreno. Nanni è il marito di Diodata, la serva da cui Gesualdo ha già avuto due figli e che lui stesso ha accasato con quell'uomo. Intanto il nobile Ninì Rubiera, l'ex amante di Bianca, s'invaghisce di un'attrice e da debiti su debiti: Gesualdo ne approfitta, gli presta molto denaro e così accumula un ingente credito con lui.

PARTE TERZA (4 capitoli)
Racconta gli eventi successivi al 1837. Bianca dà alla luce Isabella, che viene educata in collegio, secondo l'usanza dei figli dei nobili. Quando la ragazza rimane incinta del cugino Corrado La Gurna, con cui intrattiene una relazione, Gesualdo decide di cercare un uomo nobile e ricco che la prenda in sposa: si fa avanti, attratto dalla ricca dote, un anziano pretendente, il gentiluomo Alvaro Filippo Maria Ferdinando Gargantes, duca de leyra.

PARTE QUARTA (5 capitoli)
E' ambientata nel 1848. Il matrimonio di Isabella non fa che accelerare la rovina di Gesualdo: il genero spende infatti i denari di Isabella, mentre Bianca si ammala di tisi. Il protagonista appare confuso e stordito. Bianca muore, e isabella, che non ama i suoi genitori, non va neppure a visitarla. La rivoluzione del 1848 mette in pericolo le proprietà di mastro don Gesualdo: Nanni l'Orbo, capo dei rivoluzionari, finisce ucciso, forse per responsabilità proprio di Gesualdo. Alla decadenza economica si accompagna quella fisica: ammalatosi di cancro, Gesualdo viene prima trasportato nelle sue terre di Mangalavite, quindi trasferito a Palermo dal genero, che vuole controllare da vicino le sorti dell'eredità. Qui Gesualdo muore (inizio del 1849), in un palazzo non suo, nell'indifferenza generale.


Analisi del testo
In Mastro don Gesualdo Verga abbandona la visione corale dei Malavoglia per concentrarsi su un soggetto individuale e scavare nella sua vita e nella sua interiorità. Gesualdo è il personaggio più complesso mai creato dall'autore: un individuo mobile in continuo cambiamento.E' una persona povera che riesce ad arricchirsi enormemente, per poi fragorosamente ricadere nell'anonimato; a lui tocca, nel mondo verghiano, assieme al Mazzarò della Roba, il triste destino di solitudine e sconfitta che è insito nel meccanismo dell'arricchimento.
L'opera si struttura in 4 parte. La più ampia è la prima, quasi un romanzo nel romanzo. Verga vi ricostruisce, come in un lungo antefatto, la biografia di Gesualdo (e degli altri personaggi), con una precisione analitica che è un chiaro residuo del romanzo naturalista francese. L'attenzione si concentra via via sull'ascesa (sociale e psicologica) del protagonista, che era sulla strada di farsi riccone. Il racconto procede intorno al duplice asse roba / amore: all'assillo della ricchezza corrisponde, in Gesualdo, l'assillo di un matrimonio di prestigio. Tuttavia, chi si consacra alla roba non può conoscere una vera vita di sentimento: il matrimonio tra Gesualdo e Bianca, con cui si conclude la prima parte dell'opera, diviene per lui una trappola, in quanto i due sposi si rivelano, l'uno per l'altro, degli antagonisti, presenza estranee e reciprocamente sconosciute.
La seconda parte del romanzo racconta l'ascesa sociale di Gesualdo. Egli cerca d'inserirsi in un contesto per lui del tutto nuovo: aderisce ai moti carbonari perchè il concetto di rivoluzione racchiude anche quello di trasformazione e quindi, per lui, questa diventa un'occasione di acquisizione di potere.
Il povero diviene ricco, da mastro, cioè umile lavoratore manuale, diventa don, il titolo dei galantuomini, dei possidenti, viene raffigurato, nella terza parte, come un re nel suo regno: il podere di Mangalavite rappresenta il suo potere incontrastato.
Ma proprio al culmine di tale ascesa, comincia il declino di Gesualdo, un declino psicologico e affettivo, ma anche fisico. Nel frattempo si introduce la storia di Isabella, figlia di Bianca e Gesualdo, che sarebbe dovuta diventare la protagonista della Duchessa di Leyra, il terzo romanzo del ciclo dei Vinti. Il padre non riesce a farsi accettare dalla ragazza, in tutto simile alla madre e assai diversa da lui: come si legge nel I capitolo della quarta parte, dalla visita alla figlia in collegio Gesualdo torna invecchiato di dieci anni. Ciò che resterà a Gesualdo è il titolo di mastro-don, che sarcasticamente allude alla sua condizione di ex manovale arricchito. Il finale, che giunge con un ritmo veloce, è tragico Gesualdo morirà nella casa della figlia e del genero.
Gesualdo non è un eroe, ma più propriamente un antieroe, simile ai grandi protagonisti della narrazione novecentesca. La sua decadenza si riflette anche nella struttura narrativa del romanzo: il racconto realistico della prima parte si interiorizza, diventando più soggettivo, in certi squarci Verga adotta il monologo interiore per mostrare il ripiegarsi del protagonista su se stesso, che lo porta a smarrire il contatto con la realtà. Gli ultimi capitoli mostrano un realismo tutto psicologico, che si risalta nelle ultime pagine del romanzo, dove è ben delineato il delirio e l'agonia visionaria di Gesualdo.
La morte nel romanzo, non riguarda solo Gesualdo, infatti tutto muore nel Mastro don Gesualdo, la casa, la roba, la campagna, gli uomini.
La malattia di Gesualdo e dei fratelli di Bianca è sintomo di una sconfitta generale senza rimedio. L'inizio di Verga al Decadentismo.


Mastro-don Gesualdo e Diodata alla Canziria
Nei primi tre capitoli del romanzo Gesualdo è presentato non direttamente, ma attraverso le parole degli altri personaggi, che lo descrivono come un gran lavoratore, da poco arricchitosi e desideroso di far parte dell'elite sociale del paese. Entra in azione solo nel quarto capitolo, in cui si racconta un'intera giornata del protagonista, che si concentra nella corsa affannosa contro il tempo per riuscire a gestire tutti i suoi affari: prima corre a sorvegliare la costruzione di un frantoio e litiga con gli operai, poi si reca a parlare con il prete del paese, il canonico Lupi, che gli propone (su incarico dei nobili) un matrimonio con Bianca Trao; quindi, passando sotto la desolata gola del Petrajo, va a controllare la costruzione della strada di Carmeni. E' ormai sera quando Gesualdo, sfinito, giunge al suo podere della Canziria, dove incontra Diodata, una contadina da cui ha avuto due figli (illeggittimi) e che ancora gli è fedele.
Il brano costituisce uno dei pochi momenti idillici dell'intero romanzo. Dopo una dura giornata di lavoro, gesualdo può finalmente abbandonarsi alla pace del paesaggio, alla coscienza di essersi meritato il riposo, alla compagnia di Diodata. Depone dunque l'atteggiamento del padrone sospettoso, del mercante furbo; ha di fronte la donna che sa tutto di lui e con la quale non ha bisogno di recitare alcuna parte.
Da tale rilassatezza scaturisce il lungo soliloquio di Gesualdo. Seduto sull'aia egli ripercorre come in un flashback le tappe della sua esistenza. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! Il monologo di Gesualdo è scandito da poche battute dirette, quasi tutte con il punto esclamativo alla fine, a marcare i momenti salienti. Attraverso numerose espressioni popolari e veri e propri proverbi, Verga può commentare e giudicare gli eventi senza esporsi in prima persona, ma continuando a restare nascosto dietro al personaggio con la tecnica dell'impersonalità propria del verismo.
Per Gesualdo è stato molto difficile arricchirsi partendo dall'umile condizione di muratore in cui si trovava. Ha dovuto dissimilare la propria ascesa, compierla con umiltà, rispettando le gerarchie costituite: solo adesso che è in cima alla scala sociale può cominciare a manifestare i propri sentimenti. Da qui l'orgoglio con cui ripensa alla propria scalata ai vertici della società: nel ricordo essa acquista un respiro epico, quasi fosse realmente dotata di senso e di valore in se stessa, quasi potesse, cioè procurare la felicità del protagonista.
Ma è l'illusione di un istante , che svanisce nel successivo dialogo tra Gesualdo e Diodata. Si tratta in realtà di un finto dialogo, perchè le parole della donna sono pochissime: Diodata parla con i silenzi, con le lacrime, con i gesti. L'affetto che Gesualdo manifesta per lei è simile a quello che lega cane e padrone: un rapporto di sottomissione, di dipendenza, perché non ci si può aspettare più di questo da un cuore inaridito dalla roba com'è il suo.
Malgrado la sua posizione dominante, Gesualdo si trova in difficoltà: poche volte, come in questo caso, è messo a nudo davanti alla propria coscienza. Sa benissimo che abbandonare Diodata per sposare un'altra donna è una cattiva azione, e intuisce che solo Diodata può dargli quell'affetto e quella dedizione che non potrà aere dalla nobile Bianca Trao. Malgrado ciò, Gesualdo rifiuta l'amore di Diodata: ha bisogno di sposare una nobile per far lega coi pezzi grossi del paese. Senza di loro non si fa nulla!...
Pagherà amaramente questa scelta, con la solitudine e con l'incapacità di comunicare con la moglie e la figlia.


La morte di Mastro Don Gesualdo

Siamo al momento conclusivo dell'opera. La quarta parte del romanzo vede dapprima la morte di Bianca Trao, la moglie di Gesualdo, consumata dalla tisi; poi lo stesso Gesualdo si scopre gravemente malato e vicino alla fine. L'avanzare progressivo del tumore lo indebolisce, conseguendo il suo animo allo strazio dei ricordi e al tormento dei rimorsi. Egli si sente come una mela fracida percossa da un baco, che prima o poi casca dall'albero. Il penultimo capitolo dell'opera si chiude con la partenza di Gesualdo per Palermo, dove si t trasferisce nel lussuoso palazzo in cui vivono la figlia Isabella e il marito, il duca di Leyra. Essi tengono presso di loro il vecchio morente solo per controllarne meglio le proprietà. L'ultimo capitolo, completamente rielaborato rispetto alla prima versione pubblicata nel 1888 sulla rivista Nuova Antologia, costituisce uno dei vertici del romanzo italiano.

Possiamo suddividere il testo in tre momenti:
-Nel primo vediamo Gesualdo, solo subito dopo il consulto dei medici dal quale ha capito, senza più dubbi, che sta per morire: egli si attacca alla vita con ostinazione, convivendo dalla distanza che continua a separarlo, anche in questi momenti supremi, dalla figlia Isabella.
-Segue il colloquio tra padre e figlia: entrambi sono accomunati da segreti e sofferenza, difatti lei non è la sua vera figlia e inoltre Gesualdo non voleva figli da Diodata, e tuttavia non riescono a instaurare una vera comunicazione perciò il loro colloquio si limita alla sfera degli affari, come dice Gesualdo, che chiede alla figlia di poter stornare dall'eredità una piccola parte a persone verso cui ho degli obblighi.
Infine Gesualdo Muore, solo tra l'indifferenza di chi gli stava intorno.
Il testo oscilla fra i tormenti causati dal protagonista dalla malattia e gli incubi dettati dall'imminenza della morte. Gesualdo si attacca alla vita e alla roba con tutte le sue forse; tuttavia sa che non gli resta molto tempo, e matura in lui il desiderio di confidare a Isabella i suoi segreti più oscuri, informarla circa i figli nati dalla sua relazione don Diodata, ai quali vorrebbe destinare una piccola parte della sua eredità. Tuttavia, nell'istante culminante, i due personaggi si dimostrano reciprocamente incompatibili e inconciliabili: si chiudono l'uno all'altra, ostili e diffidenti. La superbia di Isabella provoca il risentimento di Gesualdo: egli, fissandola, scorge in fondo ai suoi occhi solo crucci e gelosie segrete, e così si sente tornare Motta, com'essa era Trao, diffidente, ostile, di un'altra pasta. Dunque l'incontro si risolve nella freddezza di un abbraccio che si scioglie. L'ora della morte di Gesualdo è raccontata da Verga con lucido disincanto. Il moribondo dai tremori del trapasso imminente, ma il suo servitore lo assiste con superficialità impazienza e fastidio. Quando muore, intorno al suo corpo si raccolgono solo dei servitori indifferenti, con i loro giudizi impertinenti e frivoli. Stride, in questo epilogo, il contrasto fra il dramma intimo vissuto dal protagonista pochi giorni prima di morire e la superficialità e i pettegolezzi dei personaggi che gli sono accanto pochi minuti dopo la sua morte. Attraverso questo dissidio il narratore sembra sottolineare tutta la vanità di un esistenza vissuta solo secondo le leggi dell'economia e della roba. Gesualdo che è stato vincitore per la sua ascesa economica e sociale diventa vinto, umiliato e sconfitto: di fronte alla morte e al vuoto che essa schiude, la roba perde ogni valore e significato; i sacrifici sostenuti e le lotte combattute appaiono inutili, privi di ogni attrattiva, e al lettore non rimane che l'impressione che tutto si risolva in un fallimento.



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