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Riassunto: La Luna e i Falò, Pavese

di Cesare Pavese
Riassunto:

Il romanzo fu composto nell'autunno del 1949. Protagonista è l'emigrante Anguilla (tutti lo chiamano con il suo soprannome), che parla e racconta in prima persona. Ormai quarantenne, egli fa ritorno dall'America nelle Langhe, nei luoghi dove è nato e ha trascorso la fanciullezza.
E' tornato perché, dice, un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
I contadini del posto lo scambiano però per un ricco commerciante in cerca d'una ragazza da prendere in moglie. Il passato di Anguilla riemerge a strappi, nel corso della narrazione, durante gli incontri e i colloqui che egli ha via via con diversi interlocutori. Si viene così a sapere che egli era un trovatello (bastardo), allevato in una cascina di poveri contadini; per questo essi ricevevano una piccola indennità.
Poi era stato garzone nella grande cascina della Mora, presso una famiglia ricca. Emigrato nel Nuovo Mondo, ha fatto fortuna; ora è ritornato sulle colline natali, forse in cerca della propria maturità di uomo (La maturità è tutto, ha lasciato scritto l'autore nella dedica dell'opera).
Nelle Langhe Anguilla ritrova in primo luogo il saggio e taciturno Nuto, il compagno di un tempo, che allora suonava il clarino e oggi è falegname. E' Nuto ad accompagnare l'amico in un mondo che appare uguale, ma che in realtà è molto diverso, perché la guerra lo ha trasformato.
Alla Gaminella,la fattoria dove Anguilla visse da bambino, si è insediato il Valino, un mezzadro in miseria, con il figlio Cinto, un ragazzo storpio che commuove Anguilla, perché in lui rivede se stesso bambino.
Da Nuto, Anguilla viene anche a sapere che due delle tre sorelle della Mora (Irene, Silvia e la più giovane Santa) sono morte: in particolare la bella Santina è stata uccisa perché faceva la spia per i tedeschi contro i partigiani. Il racconto si chiude sull'immagine dei falò: adesso è la Gaminella che brucia, perché il Valino impazzito, dopo aver ucciso i familiari, ha dato fuoco alla casa e si è impiccato. Solo Cinto si è salvato. In un falò simile, dice Nuto, i partigiani avevano bruciato il corpo della Santina, la ragazza dagli occhi come il cuore del papavero.
La luna e i falò riassume i motivi di fondo che caratterizzavano un po' tutta l'opera di Pavese: il realismo, il mito, la solitudine e insieme lo sforzo del comunicare. Realistica è la descrizione della guerra civile da poco finita; realistiche le polemiche contro la dittatura appena rovesciata.
Invece ha un valore simbolico-mitico il tema del ritorno, un viaggio alla ricerca delle proprie radici.
Allo stesso modo, nel romanzo, i falò sono oggetti mitici (con le superstizioni a essi collegate), ma sono anche il rogo che brucia il corpo di Santina, fucilata dai partigiani. Nell'opera, mondo esterno e io interiore s'intrecciano, fino a confondersi: forse perché, secondo Pavese dobbiamo ancora fare chiarezza dentro di noi e il nostro io.
Ciò che Anguilla scopre alla fine è il significato del racconto, è di aver smarrito per sempre il legame con il suo mondo d'un tempo, il quale gli appare, ormai, irreparabilmente mutato. Il tempo travolge ogni cosa, cancella i ricordi, l'amore; un vero ritorno non è possibile, o almeno non lo è mai come lo avevamo sognato, perché non c'è più, ad accoglierci, chi avremmo voluto che ci riconoscesse.
Il romanzo è percorso in ogni sua pagina da una struggente malinconia: nell'assieme, costituisce quasi un testamento e un addio a quella vita che Pavese stava per decidersi a lasciare tragicamente. Per l'autore, forse è la morte il vero ritorno, l'unica maturità per lui possibile.



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